3.1 Il participio: morfologia e uso nominale

3.1 Il participio: morfologia e uso nominale

Il participio italiano

Il participio ha una doppia natura, di nome/aggettivo e di verbo. In quanto nome/aggettivo si declina, distinguendo le uscite secondo genere e numero (ad es. “laureato“, “laureata“, “laureati“, “laureate“); in quanto verbo ha caratteristiche come tempo (“derivante” è part. presente, “derivato” è part. passato) e diatesi (i participi presenti, come “vedente”, sono attivi; quelli passati, come “visto”, sono passivi).

Il participio presente

E’ sempre di forma attiva, ed è usato soprattutto in funzione nominale, come aggettivo (ad es. “l’avvincente storia di Enea”, “un’espressione provocante“) o sostantivo (ad es. “gli indifferenti“, “lo scrivente“). L’uso verbale è raro, ma possibile: ad es. “i problemi emergenti (= che emergono) dalla crisi”. Spesso si tratta di forme fossili, derivate dal latino e non direttamente connesse a un verbo italiano (ad es. “indifferente”, “adolescente”, ecc.).

Il participio perfetto

E’ una forma passiva, e si usa in vari modi. In funzione nominale lo si trova come sostantivo (“I laureati sono pochi”) e come aggettivo (“Molti italiani laureati emigrano all’estero”). In funzione verbale, serve a formare tempi composti assieme agli ausiliari “avere” e “essere” (ad es. “ho mangiato“, “sono stato distrutto“, “avevo visto“, ecc. ); da solo, può costruire subordinate implicite di vario tipo:

  • relative: “ricordo tutti i romanzi scritti (= che sono stati scritti) da questo autore”
  • causali: “disgustato (= poiché ero disgustato), ho cambiato canale”
  • condizionali: “ben innaffiata (= se ben innaffiata), la pianta fiorisce”
  • temporali: “finito (= dopo che era stato finito) il lavoro, sono uscito”
  • concessive: “sebbene provocato (= pur essendo stato provocato), l’uomo non reagì”

Il participio futuro

Il participio futuro in italiano è soltanto un fossile, che sopravvive soltanto in alcune parole derivate dal latino: “nascituro (= che sta per nascere)”, “duraturo (= che durerà)”, “futuro (= che sarà)”, e poche altre.

Il participio latino

L’uso del participio latino non è poi molto diverso da quello italiano, anche se certamente è molto più esteso. Ha tre tempi, presente perfetto e futuro; è morfologicamente un aggettivo, ma partecipa anche della natura del verbo. Vediamo innanzitutto la morfologia.

Participio presente

E’ sostanzialmente un aggettivo della 2a classe ad 1 uscita. Si forma aggiungendo al tema del presente il suffisso -ns, -ntis (nom. e gen. sing.):

laudo, aremoneo, ērelego, ĕreaudio, ire
nom.laudansmonenslegensaudiens
gen.laudantismonentislegentisaudientis
  • l’abl. sing. può uscire sia in -e che in -i: ad es. laudante e laudanti sono ambedue possibili
  • il gen. pl. esce normalmente in -ium, ma specialmente in poesia si trova l’uscita -um: ad es., venientium ma anche venientum

Participio perfetto

E’ una forma passiva, morfologicamente un aggettivo della 1a classe che si costruisce aggiungendo al tema del supino le normali uscite -us, -a, -um. Il supino, che vedremo in una lezione futura, è la penultima forma indicata nel paradigma di un verbo, e il tema si ricava eliminando la terminazione -um: in pratica, il supino è identico al nom. neutro del participio perfetto.

laudo, as, avi, atum, aremoneo, es, ui, ĭtum, ērelego, is, legi, lectum, ĕreaudio, is, ivi, itum, ire
supinolaudatummonĭtumlectumaudītum
part. perfettolaudatus, a, ummonĭtus, a, umlectus, a, umaudītus, a, um

I vocabolari di norma riportano il supino (o il part. perfetto) come lemma separato, che rimanda al presente. Se il participio è frequentemente usato come aggettivo o sostantivo, il vocabolario ne può riportare anche direttamente il significato.

Dato che il part. perfetto è una forma passiva, non lo hanno i verbi intransitivi (che non hanno la diatesi passiva). Ad esempio, non esiste il part. perfetto di sum, che difatti non ha il supino nel paradigma (sum, es, fui, esse). In quanto forma passiva, il part. perfetto può essere accompagnato da un complemento di agente o causa efficiente: si esprimono ambedue in ablativo, preceduto da a o ab il primo e semplice il secondo.

Participio futuro

E’ una forma attiva; morfologicamente, anch’esso è un aggettivo della prima classe, che si ricava dal tema del supino aggiungendo la terminazione -urus, -ura, -urum:

laudo, as, avi, atum, aremoneo, es, ui, ĭtum, ērelego, is, legi, lectum, ĕreaudio, is, ivi, itum, ire
supinolaudatummonĭtumlectumaudītum
part. futurolaudaturus, a, ummonĭturus, a, umlecturus, a, umaudīturus, a, um

Come si è visto, non ha un corrispondente diretto in italiano, se si escludono alcune forme fossili; lo si traduce spesso con una relativa come “che sta per lodare”, “che intende lodare”, “che loderà”, ecc.

Uso nominale del participio latino

Il participio è dunque un aggettivo verbale, e partecipa della natura sia dell’aggettivo che del verbo. In quanto aggettivo, esso può essere sostantivato:

  • aggettivo, in funzione attributiva: homines docti omnia explorant, “gli uomini dotti indagano ogni cosa”
  • aggettivo, in funzione predicativa: docti in forum venimus “siamo venuti in tribunale (già) istruiti”
  • aggettivo sostantivato: hoc multi docti saepe fecerunt, “questo lo hanno fatto spesso molti dotti”
  • nome del predicato: illi homines docti sunt, “quegli uomini sono dotti”

In questi casi lo si è tradotto sempre con un participio italiano corrispondente, ma in molti casi altre traduzioni sono raccomandabili o necessarie. Ad esempio:

  • frase relativa: onerat discentem turba auctorum “un gran numero di autori opprime chi impara
  • infinito: Varronem audivi hoc dicentem, “ho sentito Varrone dire questo”
  • perifrasi: morituris auxilium denegaverunt, “rifiutarono (il loro) aiuto a chi stava per morire

In generale, saranno il contesto e i gusti personali a guidare nella traduzione, e non ci sono regole fisse: ad esempio, nella prima delle frasi citate qui sopra discentem può essere tradotto “chi impara”, ma anche semplicemente “lo studente”. Naturalmente, vanno comunque rispettati i limiti imposti dalla lingua italiana: un’ipotetica traduzione “rifiutarono il loro aiuto ai morituri” farebbe uso di un termine (“i morituri”) che in italiano semplicemente non esiste, e non sarebbe ammissibile.

Tempo relativo, non assoluto

E’ importante notare che il tempo del participio (perfetto, presente, futuro) non è assoluto, ma relativo: i tre ‘tempi’ non indicano che l’azione espressa dal participio si è svolta nel passato, nel presente o nel futuro, ma che essa è anteriore, contemporanea o posteriore rispetto a quella espressa dal verbo reggente. Vediamo qualche esempio, limitandoci per ora ai participi presenti (contemporanei) e perfetti (anteriori)

  • audio Varronem dicentem: “sento Varrone che dice“, o “sento Varrone dire“. Il part. pres. dicentem indica contemporaneità rispetto al reggente audio, che è presente; il verbo della relativa (“che dice”) è dunque anch’esso presente. Se in italiano è possibile la traduzione all’infinito, si usa l’infinito presente, che indica di per sé contemporaneità.
  • audiebam Varronem dicentem: “sentivo Varrone che diceva“, o “sentii Varrone dire“. Il part. pres. dicentem indica contemporaneità rispetto al reggente audiebam, che è passato; il verbo della relativa (“che diceva”) è dunque anch’esso passato. Se in italiano è possibile la traduzione all’infinito, si usa l’infinito presente, che indica di per sé contemporaneità.
  • habeo ovos coctos in aqua: “ho delle uova bollite“. Il part. perf. coctos indica anteriorità rispetto al reggente habeo, che è presente; se lo si vuole tradurre con una proposizione relativa, questa dovrà quindi avere un tempo passato, “che sono state cotte“.
  • habebam ovos coctos in aqua: “avevo delle uova bollite“. Il part. perf. coctos indica anteriorità rispetto al reggente habebam, che è passato (imperfetto); se lo si vuole tradurre con una proposizione relativa, questa dovrà quindi avere un tempo trapassato, “che erano state cotte“.

Incontreremo di nuovo il concetto della relatività dei tempi non finiti (come participi e infiniti) parlando dell’accusativo con l’infinito in una prossima lezione.

La perifrastica attiva

Il participio futuro è spesso usato in funzione predicativa in unione al verbo sum (che però è molto spesso sottinteso), una costruzione che prende il nome di “perifrastica attiva“. Si tratta di un modo alternativo rispetto all’indicativo futuro semplice di esprimere un’azione che si svolgerà nel futuro, e di mettere in particolare rilievo l’intenzione di chi la compierà: così, Caesar pugnaturus est equivale in sostanza a “Cesare combatterà”, “Cesare sta per combattere”, “Cesare è sul punto di combattere”, “Cesare ha intenzione di combattere”, “Cesare vuole combattere”, o espressioni simili.

Questa costruzione serve anche a esprimere il futuro nel passato, che l’italiano esprime con il condizionale passato: ad es. omnes illo die perituri erant, “tutti sarebbero morti in quel giorno”.