Metrica 6. Il distico elegiaco e il pentametro

6. Il distico elegiaco e il pentametro

Nella letteratura classica c’è quasi sempre una stretta associazione tra generi letterari e forme espressive. Così, l’esametro è il verso usato soprattutto per la poesia epica, anche se trova poi anche altri impieghi. Per la poesia amorosa, anche detta poesia elegiaca, si adotta tipicamente una strofa composta da due versi, cioè un distico, detto appunto distico elegiaco e formato da un esametro + un pentametro.

In letteratura il pentametro viene usato quasi unicamente nel distico, non da solo: quando si trovano componimenti di due o più pentametri, o sequenze disordinate di esametri e pentametri, si tratta sempre di sperimentazioni o provocazioni, come in alcuni epigrammi presenti nel Satyricon di Petronio, o di produzioni poetiche più popolari e meno sorvegliate, come in alcune poesie attestate per via epigrafica.

Il pentametro si chiama così perché si riteneva composto di cinque metri o piedi – anche se di fatto gli accenti sono sei, come nell’esametro. Ovidio, nella prima elegia degli Amores, ci scherza su, per giustificare ironicamente l’idea di dedicarsi non alla poesia epica (per la quale si usano gli esametri) ma all’elegia d’amore, per la quale è d’obbligo il distico elegiaco:

Arma gravi numero violentaque bella parabam
     ēdĕrĕ, tĕrĭā cōnvĕnĭēntĕ mŏs.

Par erat inferior versus; risisse Cupido
     cĭtŭr ātque‿ūnūm sūrrĭpŭīssĕ pĕdēm


Mi accingevo a celebrare le armi micidiali di guerra, con metro solenne
     poiché la materia richiede quel ritmo.

Il secondo verso era uguale al primo; Cupìdo ne rise
     – mi dicono – e si portò via un piede

Come vediamo, anche nel pentametro gli accenti (nei distici qui sopra sono accentate le sillabe evidenziate in grassetto) sono sei come nell’esametro. La struttura è questa:

1 –́ ∪∪ 2 –́ ∪∪ 3 –́ │ 4 –́ ∪∪ 5 –́ ∪∪ 6 –́

Caratteristiche del pentametro sono:

  • Una dieresi centrale (pentemimera) obbligatoria.
  • La prima parte del pentametro, quella che precede la dieresi, è identica a un esametro interrotto anch’esso alla cesura centrale: due dattili o spondei + un mezzo piede.
  • La seconda parte del pentametro ripete la prima, con la sola differenza che la sostituzione dei dattili con degli spondei non è ammessa.
  • L’ultima sillaba è normalmente lunga; solo raramente può essere breve come nell’esametro.

Il nome pentametro deriva probabilmente dal semplice calcolo (o, se si preferisce, calcolo astruso): il verso è costituito da due mezzi esametri “tagliati” alla pentemimera, quindi due elementi di due piedi e mezzo ciascuno: e due piedi e mezzo + due piedi e mezzo fa, appunto, cinque piedi, quindi un pentametro. Se tenessimo conto del fatto che ci sono però sei accenti o “tempi forti” dovremmo contare sei piedi, come nello schema; e considerare due di questi piedi, il terzo e il sesto, incompleti o – con termine tecnico – “catalettici”. Il nome pentametro, in ogni caso e quale che ne sia l’origine, è quello tradizionale.

Dei sei accenti del pentametro ben quattro sono fissi: il primo, che va sulla prima sillaba; e gli ultimi tre, dato che nella seconda parte del pentametro la sostituzione del dattilo con uno spondeo non è ammessa. Se ci abituiamo (come dovremmo) a contare a ritroso, vediamo che è fisso anche il terzo accento, che si colloca sempre sulla sillaba che precede immediatamente il quarto. Scandire correttamente il pentametro, quindi, è molto facile: tutto si riduce a collocare il secondo accento (che va ovviamente su una sillaba lunga, che deve essere la terza o la quarta sillaba del verso), e si impara facilmente a farlo “a impronta”.

A titolo di esempio, vediamo l’analisi dei primi otto distici della prima Elegia di Properzio:

nthĭă prīmă sŭīs mĭsĕrūmpĭt ŏcēllis,
      Cōntāctūm nūllīsāntĕ Cŭdĭnĭbus.

Tūm mĭhĭ cōnstāntīscīt mĭnă fāstus
      Ēt căpŭt īmpŏsĭtīsprēssĭt Ămōr pĕdĭbus,

nēc dŏcŭīt cāss ōdīssĕ pŭēllas
      Īmprŏbŭs, ēt nūlvĕrĕ cōnsĭlĭo.

Ēt mĭhĭ iām fŭrŏr hīc nōn fĭcĭt ānno,
      Cūm tămĕn ādvērsōsgŏr hărĕ dĕos
.

Cinzia per prima mi avvinse, misero, con i suoi occhi,
     quando ancora non ero stato toccato da alcun amore.

Da allora Amore abbassò la consueta superbia dei miei occhi
     e mi oppresse ponendomi i piedi sul capo,

finché mi insegnò ad odiare le caste fanciulle,
     crudele, e a vivere senza giudizio.

Ed è già un anno intero che questo furore non mi abbandona,
     mentre, tuttavia, sono costretto ad avere avversi gli dèi.