Perché la vocale ă del verbo făcio diventa ĭ nei composti, come confĭcio e perfĭcio? Perché il nome della 3a declinazione semĕn al genitivo diventa semĭnis? E perché tăberna diventa contŭbernalis?
Le vocali brevi, nella lingua latina, tendono a indebolirsi e a cambiare timbro diventando ĕ, ĭ o ŭ – ci sono regole che spiegano cosa diventa cosa in quali contesti fonetici, ma si tratta di dettagli complessi sui quali possiamo sorvolare. Questi cambiamenti riguardano però solo le vocali delle sillabe interne della parola; le sillabe iniziali e finali, invece, sono “protette” da questi cambiamenti. Dunque, ad esempio, făcio conserva la propria ă perché si trova nella sillaba iniziale; se al verbo si aggiunge un preverbo quella sillaba diventa interna, dando luogo a composti come confĭcio e perfĭcio (ma confectum e perfectum in altre forme degli stessi verbi, dato che si tratta di sillabe chiuse: come detto sopra, il contesto fonetico influenza il tipo di mutamento che avviente). Nel nome semĕn, la ĕ è protetta dal cambiamento perché si trova nella sillaba finale; ma al genitivo, l’aggiunta della desinenza -is la fa diventare sillaba interna, ed ecco il cambiamento in semĭnis invece dell’atteso *semenis.
Questo fenomeno si chiama appunto apofonia latina. “Apofonia” significa “mutamento del suono”; viene qualidicata come “latina” per distinguerla da altri tipi di apofonia, che si verificano in latino come in molte altre lingue. Ad esempio, è per una forma di apofonia che in latino il presente facio diventa feci al perfetto, e che in italiano abbiamo coppie come “bene” e “buono”.
Dato che l’apofonia latina riguarda solo le vocali brevi, è chiaro anche che, all’inverso, se una vocale ha subito apofonia è perché si tratta di una vocale breve. Questo è di aiuto quando la vocale che ha subito apofonia si trova nella penultima sillaba, che è quella che regola la posizione dell’accento: se la penultima è breve, sappiamo che l’accento deve cadere sulla terzultima. Ad esempio, è facile capire che seminis si accenta séminis se si riconosce che la -i- della penultima sillaba (-min-) ha subito apofonia rispetto al nominativo semen, e quindi è breve.
Eccezioni. Come tutte le regole linguistiche, anche l’apofonia latina ha le sue eccezioni. Esse sono dovute per lo più alla tendenza a mantenere il vocalismo originario e quindi l’identità della parola, come ad es. Caesăr che al genitivo fa Caesăris invece di subire apofonia in *Caesĕris. In altri casi si tratta di formazioni lessicali verificatesi dopo che l’apofonia latina aveva smesso di agire: ad es. dal verbo ăgo si ha il composto ex-ĭgo (apofonico), ma anche perăgo (non apofonico).