Mummio

Lucio Mummio

e la distruzione di Corinto


1. La nobiltà patrizia. Popolari e ottimati, homines novi

Lucio Mummio Londra, British Museum
Lucio Mummio
Londra, British Museum

A Roma il potere politico rimaneva di solito appannaggio di un ristretto numero di famiglie, che costituivano la “nobiltà” romana. I due Consoli, le massime autorità di governo nella Repubblica romana, venivano di solito da famiglie che avevano avuto altri consoli in precedenza; quelli che non avevano questo background familiare erano rari, ed erano detti “uomini nuovi”, homines novi. Attenzione a non sovrapporre questa distinzione tra uomini “nuovi” e non all’altra, più antica, tra patrizi e plebei: a partire dalle leggi Licinie Sestie del 367 a.C. i plebei ebbero accesso al consolato: si forma quindi una nuova nobiltà, che resta sempre poco permeabile a nuovi ingressi dall’esterno, ma oblitera (almeno in parte) la distinzione tra patrizi e plebei. La nuova aristocrazia è quella degli “Ottimati”, in pratica “i migliori”.

Gli “uomini nuovi” che arrivavano al consolato avevano di solito un background politico e/o militare di peso, non erano dei veri e propri parvenu della scena politica. Cicerone, l’ “uomo nuovo” forse più famoso, diviene console nel 63, a 46 anni (nato nel 106): prima era stato questore, si era impegnato in azioni giudiziarie con importanti riflessi politici (come quella contro Verre), aveva ricoperto l’edilità e la pretura. Insomma, si era dato molto da fare, come altri “uomini nuovi” prima e dopo di lui.

2. Lucio Mummio: il contesto politico e la carriera

Andrea del Verrocchio (ca. 1465) Publio Cornelio Scipione Africano Parigi, Louvre
Andrea del Verrocchio (ca. 1465)
Publio Cornelio Scipione Africano
Parigi, Louvre

Qui però vorrei parlare di un caso meno noto e più antico di quasi un secolo. Lucio Mummio giunse al consolato nel 146 a.C. Di famiglia plebea, non aveva avuto antenati consoli; il padre era stato tribuno della plebe. Da pretore, in Spagna, aveva ottenuto delle vittorie nelle campagne militari contro i Lusitani, e probabilmente questo gli aprì la strada per il consolato. Raggiungerlo fu un’impresa degna di nota: nel mezzo secolo precedente, a quanto ne sappiamo, soltanto altri 16 consoli, su più di 100, erano stati “uomini nuovi”. In quell’anno 146, Roma era impegnata in Africa nella terza guerra punica contro Cartagine; ad essa era preposto Publio Cornelio Scipione, un pupillo dell’aristocrazia romana. Più propriamente si chiamava Publio Cornelio Scipione Emiliano perché figlio di Lucio Emilio Paolo, che concluse la terza guerra macedonica vincendo la famosa battaglia di Pidna nel 168 a.C.; i primi tre elementi del nome gli venivano invece dal padre adottivo, Publio Cornelio Scipione, figlio del prestigiosissimo Publio Cornelio Scipione Africano, che concluse la seconda guerra punica sbaragliando Cartagine nella storica battaglia di Zama del 202 a.C. Nel 146 si può dire che Cartagine fosse ormai l’ombra di sé stessa, e per il giovane Emiliano non fu troppo difficile vincere e radere al suolo l’eterna nemica di Roma; ciononostante, la vittoria gli valse l’allungamento del nome con l’aggiunta di un cognomen ex virtute, che lo fece diventare Publio Cornelio Scipione Emiliano Africano Minore (“minore” per distinguerlo dal nonno adottivo, l’Africano Maggiore).

Il sacco di Corinto Tony Robert-Fleury (ca.1870) Paris, Musée d’Orsay
Il sacco di Corinto
Tony Robert-Fleury (ca. 1870)
Paris, Musée d’Orsay

Potrebbe non essere improprio pensare che Mummio sentisse una certa spinta a cercare di emulare le imprese e la gloria dell’aristocratico collega. Mentre Scipione Emiliano era impegnato nella campagna d’Africa, il console Mummio rilevò il comando dell’esercito guidato dal propretore Quinto Cecilio Metello, che aveva vinto la Macedonia di Andrisco e ora stava combattendo in Grecia contro una coalizione di città greche, la lega Achea. Metello era un altro rampollo di una famiglia antica edi grande nobiltà e potere, tanto che è rimasto famoso il verso con cui il poeta Nevio, poco più di cinquanta anni prima, sembrava voler esprimere esprimere una certa – diciamo – stanchezza per la regolare presenza di qualche Metello tra i massimi magistrati romani: “è destino che i Metelli diventino consoli a Roma”, diceva; già così non è precisamente un complimento, ma la frase è ambigua, e può suonare anche “per disgrazia di Roma i Metelli diventano consoli”. Sia come sia, l’uomo nuovo Mummio si trovava costretto a sgomitare fra Scipioni e Metelli! Però sgomitava efficacemente, e fu svelto a subentrare nel comando a Metello, più nobile di lui ma in quel momento in una posizione di rango inferiore. Giusto in tempo per prendersi il merito della vittoria finale contro la città di Corinto, ultimo baluardo della lega Achea. La città cade nell’agosto/settembre del 146, pochi mesi dopo la distruzione di Cartagine.

3. Guerra, politica, letteratura

Busto di Cicerone - Roma, Musei Capitolini
Busto di Cicerone
Roma, Musei Capitolini

L’evento fu epocale, non meno della distruzione di Cartagine. Non è chiaro se la decisione fu presa dallo stesso Mummio, forse per emulare l’impresa di Scipione, o dal Senato di Roma; ma in ogni caso Corinto non fu solo sconfitta, ma anche saccheggiata, rasa al suolo, e i suoi abitanti ridotti in schiavitù. Sui motivi di questa decisione si speculò e si specula tuttora. Cicerone ad esempio sottolinea che la posizione sull’Istmo e la ricchezza della città di Corinto ne facevano un nemico potente la cui distruzione doveva servire da monito per tutti i Greci, che da allora in poi ci avrebbero pensato bene prima di sfidare la potenza di Roma (De officiis 1.35 e 3.46; De lege agraria 2.87). Ma è anche vero che il ricchissimo bottino proveniente dalla città greca poteva fornire anche una potente spinta alla successiva carriera del senatore – che in effetti ricoprì nel 142 la prestigiosa carica di censore, guarda caso assieme a Publio Cornelio Scipione Emiliano, divenuto ormai l’Africano Minore.

Scipione e Polibio davanti alle rovine di Cartagine Jacobus Buy (1787) Museo di Amsterdam
Scipione e Polibio davanti alle rovine di Cartagine
Jacobus Buy (1787)
Museo di Amsterdam

Il parallelismo tra la distruzione di Cartagine e quella di Corinto era troppo evidente per non diventare un topos letterario e un’arma propagandistica. Forse la cosa era già nelle intenzioni dei generali vincitori. Sia Scipione che Mummio furono attenti a cercare di attenuare la loro immagine di conquistatori feroci e vendicativi mostrando qualche tratto di umanità e di consapevolezza di aver compiuto un atto epocale. E così si tramanda che ambedue si commossero fino alle lacrime di fronte alla distruzione di due grandi città e alle miserie dei loro abitanti ridotti in schiavitù.

L’inimicizia secolare di Roma con Cartagine, però, rendeva la distruzione di quest’ultima una cosa non scontata ma almeno prevedibile e comprensibile, più da glorificare che da criticare come atto di insensata crudeltà. Corinto, una città simbolo della cultura e raffinatezza greca, era tutt’altra storia. Certo, l’apprezzamento non mancava: Cicerone piangeva la sorte della città, ma come si è visto vedeva dietro di essa la ragion di Stato e l’interesse di Roma. Virgilio riserva a Mummio perfino un posto tra gli eroi che Enea incontra nell’Oltretomba (Aen. 6.836-837): la sua vittoria contro i Greci diviene una vendetta per la distruzione di Troia, appropriatamente ottenuta dai Romani come discendenti del troiano Enea.

Tra i Greci, inevitabilmente, prevale invece il compianto, e le ragioni mitiche storiche e politiche per l’atto di Mummio passano in sordina. Abbiamo ad esempio, pochi anni dopo la distruzione di Corinto, un epigramma di Polistrato (AG 7.297):

Stella d’Acaia e di Grecia, te, splendida Acrocorinto,
e te, duplice lido confluente dell’Istmo,
Lucio distrusse…

4. Mummio il parvenu

Ma non c’è solo il comprensibile compianto. Il risentimento greco e la propaganda aristocratica ostile all’ “uomo nuovo” Mummio hanno probabilmente favorito la sopravvivenza, e magari anche la creazione, di alcuni aneddoti che mettevano Mummio in cattiva luce e gli facevano fare la figura del comandante militare rozzo e ignorante – un’immagine che si può supporre non giovasse alla carriera politica di Mummio in una Roma sempre più raffinata ed ellenizzata.

Andrea Mantegna Il trionfo di Cesare (fine XV sec.) Royal Collection, Hampton Court Palace
Il trionfo di Cesare
Andrea Mantegna (fine XV sec.)
Royal Collection, Hampton Court Palace

Corinto era stata rifondata come colonia romana da Giulio Cesare, ma nonostante questo più di un secolo dopo Favorino di Arles ha ancora buon gioco a stuzzicare il revanscismo del suo pubblico corinzio quando racconta delle gaffes monumentali di Mummio: il generale romano ad esempio dedicò a Zeus una statua che rappresentava in realtà Poseidone, e scambiò un gruppo statuario che rappresentava due giovani per una raffigurazione di Nestore e Priamo, che naturalmente saranno stati pure giovani anche loro ma nell’epos omerico tradizionalmente compaiono come due anziani.

Velleio Patercolo (Storia Romana 1.13.4) ha anche parole di elogio per la rozza saggezza di Mummio, ma non sa trattenersi dal ricordare che il generale

fu tanto rozzo che dopo la presa di Corinto dovendo affidare il trasporto in Italia di così tante opere d’arte prodotte dai migliori pittori e scultori dell’antichità, fece dire ai trasportatori che, se le avessero danneggiate, le avrebbero dovute restituire nuove

5. Mummio e la civiltà artistica di Roma

Questi aneddoti e altri simili circolavano ampiamente; ma per noi è difficile stabilire con certezza se e fino a che punto il console fosse realmente così ignorante. Tradizioni più favorevoli lui non mancano. Livio (per. 52) ad esempio sottolinea la sua integrità e moderazione, e ricorda che non tenne per sé nulla del ricchissimo bottino corinzio. Nelle marce trionfali svoltesi a Roma Metello e Scipione fecero sfilare i generali sconfitti; Mummio portò in processione statue di bronzo e dipinti (Eutropio 4.14.2):

Dracma greca con l’effigie di Andrisco
Dracma greca con l’effigie di Andrisco

A Roma si celebrarono allo stesso tempo tre fastosi trionfi: quello dell’Africano per la vittoria in Africa, e davanti al suo carro fu fatto sfilare Asdrubale; quello di Metello per la vittoria in Macedonia, e davanti al suo carro marciò Andrisco… e quello di Mummio per la vittoria su Corinto, e davanti a lui furono portate statue di bronzo, dipinti, e altri tesori di quella splendida città

tres igitur Romae simul celeberrimi triumphi fuerunt: Africani ex Africa, ante cuius currum ductus est Hasdrubal, Metelli ex Macedonia, cuius currum processit Andriscus… Mummi ex Corintho, ante quem signa aenea et pictae tabulae et alia urbis clarissimae ornamenta praelata sunt

Che Mummio sapesse o meno apprezzarne le qualità artistiche, il bottino corinzio finì per abbellire templi e piazze a Roma e nelle città italiche – e non poche case private, anche se a quanto dice Livio non quella di Mummio. In seguito alle varie campagne vittoriose condotte in Grecia e in Oriente nel corso della prima metà del secondo secolo, una vera e propria marea di oggetti d’arte greca arrivò a Roma. Mummio contribuì non poco a questo fenomeno, e l’eclettica passione romana per l’arte greca si deve anche a lui.

Quinto Orazio Flacco Giacomo di Chirico (1871)
Quinto Orazio Flacco Giacomo di Chirico (1871)

La distruzione di Corinto, in ultima analisi, lasciò un segno anche sui vincitori. Orazio generalizza, ma esprime efficacemente l’idea in Epist. 2.1.156-157:

la Grecia conquistata conquistò il suo rozzo vincitore,
e introdusse le arti nel Lazio contadino

Graecia capta ferum victorem cepit et artis
intulit agresti Latio

Almeno alcune delle conseguenze della conquista romana dell’Oriente greco erano dunque chiare fin dall’antichità. Le cause di atti efferati e sanguinosi come la distruzione di Corinto furono senz’altro molteplici, ma per noi ormai è difficile (e probabilmente lo era anche per i contemporanei) appurare l’importanza relativa di vari fattori, come l’insipienza dei leader politici greci, la spietatezza e l’ambizione dei comandanti romani, la fame di potere, la ragion di Stato e le decisioni del Senato di Roma. Quello che rimane quasi sempre nell’ombra, e che viene di solito distillato e anestetizzato nelle fonti che abbiamo è l’enorme costo di questi atti in vite umane e sofferenza. Un po’ come quando ammiriamo l’imponenza del Colosseo come già faceva Marziale, per cui “Ogni opera cede dinanzi all’Anfiteatro dei Cesari, la fama parlerà ormai d’una sola opera al posto di tutte” (liber de spectaculis 1.7-8), quasi dimenticando che il suo scopo era quello di trasformare la morte di migliaia di gladiatori e condannati in un’occasione di intrattenimento e propaganda politica.

Per saperne di più

  • L. Graverini, L. Mummio Acaico, “Maecenas” 1 (2001), 105-148. Disponibile su Academia.edu.
  • L. Graverini, Mummius, Lucius,in R.S. Bagnall, K. Brodersen, C.B. Champion, A. Erskine, S.R. Huebner, eds., The Encyclopedia of Ancient History, Blackwell: 4619–4620.