Dimenticare il ritorno

Dimenticare il ritorno.

Odisseo in Omero, Apuleio, Guccini ed altri


1. Odisseo dopo Omero

Odisseo sulla riva, di Arnold Böcklin (1869)
Odisseo sulla riva
Arnold Böcklin (1869)

Nel romanzo antico greco e latino un po’ tutti i protagonisti sono viaggiatori, e in questo finiscono inevitabilmente per essere in qualche modo delle reincarnazioni del primo e più famoso eroe viaggiatore, Odisseo. Questa reincarnazione però coinvolge sempre vari processi di metamorfosi, che danno luogo a una dialettica interessante tra fedeltà al modello e innovazione. Questa naturalmente non è una caratteristica esclusiva del romanzo – anzi è una legge pressoché universale della letteratura e dell’arte: viaggiando da un testo all’altro, i personaggi cambiano.

2. L’Odisseo di Guccini

Vediamo ad esempio una delle più recenti apparizioni di Odisseo, che diventa protagonista di una canzone di un noto cantautore, Francesco Guccini: Odysseus (dall’album “Ritratti”, 2004). Questi sono i versi iniziali:

H.J. Draper, Ulysses and the Sirens (1909)
H.J. Draper Ulysses and the Sirens (1909)

Bisogna che lo affermi fortemente
che, certo, non appartenevo al mare
anche se Dei d’Olimpo e umana gente
mi sospinsero un giorno a navigare

C’è la tentazione di vedere in questo brano una sorta di Ulisse postmoderno – non è l’eroe che cerca l’avventura, come l’Ulisse dantesco che insegue “virtute e canoscenza” (Inferno 26.120); è l’avventura che cerca lui, e lo costringe a navigare controvoglia. Eppure, se si dà credito a Guccini di una conoscenza non del tutto superficiale della mitologia classica, qui non c’è un Odisseo “nuovo”, ma quello dei Canti Ciprii: quello che si finse pazzo e contadino per non andare a Troia, ma fu smascherato da Palamede e dovette controvoglia aggregarsi all’esercito greco. Ecco la versione di Igino, fab. 95.2:

Ulisse si finge pazzo. Arazzo, XVII sec., Ptuj Ormož Museum
Ulisse si finge pazzo. Arazzo, XVII sec., Ptuj Ormož Museum

Agamennone e Menelao, prima di guidare i comandanti loro alleati ad assediare Troia, si recarono a Itaca da Ulisse, figlio di Laerte, al quale era stato pronosticato che, se fosse andato a Troia, sarebbe tornato in patria dopo venti anni solo, povero, e dopo aver perso tutti i compagni. E così Ulisse, sapendo che loro sarebbero venuti, si finse pazzo, mettendosi un berretto di feltro e aggiogando all’aratro un cavallo e un bue. Quando Palamede lo vide si accorse che faceva finta. Allora prese dalla culla il figlio di lui, Telemaco, lo pose di fronte al suo aratro e disse: “Smetti di fingerti pazzo e vieni con i tuoi alleati”. Allora Ulisse promise di venire.

Nella canzone di Guccini l’evoluzione, semmai, giunge più tardi, e soprattutto alla fine della canzone:

La vita del mare segna false rotte
ingannevole in mare ogni tracciato
solo leggende perse nella notte
perenne di chi un giorno mi ha cantato

donandomi però un’eterna vita
racchiusa in versi, in ritmi, in una rima
dandomi ancora la gioia infinita
di entrare in porti sconosciuti prima

In queste due strofe Odisseo diventa un eroe stanco, che a mala pena ricorda le sue avventure e le confonde tra loro, cosciente di essere più il mito cantato da un antico poeta cieco che non una persona reale; e negli ultimi due versi ritroviamo anche una traccia dell’Odisseo dantesco, assetato di conoscenza. Ma trattandosi ormai di un Odisseo cosciente di essere personaggio di una storia (un po’ come Don Chisciotte nel secondo libro del romanzo di Cervantes), potremmo anche speculare su cosa siano questi “porti sconosciuti” nei quali l’eroe brama entrare: terre ignote oltre le colonne d’Ercole, o nuovi generi letterari che per Omero erano del tutto imprevedibili, come appunto il romanzo o una canzone moderna?

3. Odisseo nel tempo

Odisseo e Penelope. M. Chagall, litografia (1975)
Odisseo e Penelope M. Chagall, litografia (1975)

Naturalmente, la domanda è destinata a rimanere senza risposta: entro certi limiti, ognuno vede nel testo ciò che è disponibile a vederci. Il fatto è che, per un poeta moderno, Odisseo non può più avere un’identità solida e coesa: è piuttosto un caleidoscopio di identità diverse e sempre mutevoli, che si sono stratificate e incrociate nel corso di una tradizione millenaria. Chi ancora ne scrive finisce inevitabilmente per attingere a mille storie diverse, creando inevitabilmente un personaggio complesso, nuovo e antico allo stesso tempo.

Sean Bean come Odisseo. Film Troy (2004)
Sean Bean come Odisseo Film Troy (2004)

Ora, potremmo chiederci: la situazione era così diversa per un autore di età ellenistica e imperiale? La mia risposta, che naturalmente si può benissimo non condividere, è “sicuramente no”. Per un autore di quel periodo Omero era un riferimento certo monumentale, ma pur sempre molto lontano nel tempo, prodotto di una cultura antica e molto diversa. I suoi personaggi appartengono al mondo favoloso del mito; le sue storie sono già passate attraverso un gran numero di rielaborazioni, tradizioni, invenzioni diverse.

4. Viaggi di eroi, viaggi di storie

Vedremo quindi tra poco cosa diventa l’eroe viaggiatore di Omero nel romanzo di Apuleio. Prima, però, è bene osservare che il tema del viaggio è pervasivo nelle Metamorfosi. Non viaggia soltanto Lucio, il protagonista del racconto: è il racconto stesso che viaggia. Della storia di Lucio-Asino sappiamo che esistono ben tre versioni: una perduta, le Metamorphoseis di un altrimenti ignoto Lucio di Patre; il Lucio o l’asino, conservato e attribuito a Luciano di Samosata dalla tradizione manoscritta ma quasi certamente spurio – per questo si parla di solito di Pseudo-Luciano; e le Metamorfosi di Apuleio, l’unica versione latina e di attribuzione certa; quasi certamente, anche la più tarda. Oggi si ritiene comunemente che lo Pseudoluciano e Apuleio derivino indipendentemente dalle perdute Metamorphoseis greche.

Da questo si capisce che anche la storia dell’asino viaggia. E viaggia secondo una direzione ben precisa, dalla Grecia a Roma, da Est a Ovest: che se pensiamo a Odisseo e ad Enea è un po’ la direzione generale (anche se certamente non seguita in modo lineare) del viaggio epico. Ed è anche sempre la direzione generale dei viaggi di Lucio che, nella versione della storia di Apuleio, si muove appunto dalla Grecia a Roma.

Questa direzione era per Apuleio evidentemente tanto importante che ad essa è dedicata una parte del prologo. Non è del tutto chiaro chi sia a parlare, ma per comodità diciamo che è una persona collettiva che è in parte l’autore Apuleio, in parte il protagonista Lucio, in parte il libro che momentaneamente parla e presenta sé stesso:

Metioco e Partenope Museo di Zeugma (Gaziantep, Turchia)
Metioco e Partenope
Museo di Zeugma (Gaziantep, Turchia)

Met. 1.1.3-4 «E chi è costui?» Te lo spiego in breve. L’Imetto attico, l’Istmo di Corinto e il Tenaro spartano: queste terre fortunate, cantate in eterno in libri ancor più fortunati, sono il mio antico lignaggio, ed è lì che da ragazzo alle prime armi mi sono esercitato nei rudimenti della lingua dell’Attica. Poi a Roma, estraneo com’ero alla cultura dei Quiriti, con gran fatica e senza la guida di alcun maestro ho conquistato e coltivato la lingua del posto.

È chiaro dunque che questo asse “dalla Grecia a Roma” gioca un ruolo di peso nel prologo come in tutto il romanzo. Esso naturalmente comporta anche un cambiamento sull’asse della lingua, dal greco al latino; e c’è anche, in sordina ma non troppo, il viaggio nel tempo, da un passato di gloria letteraria (i “libri fortunati” e l’“antico lignaggio”) a un presente quotidiano.

Tutto questo viaggiare lungo vari assi non riguarda, chiaramente, soltanto il protagonista Lucio. Il viaggio dalla Grecia a Roma e il cambiamento dal greco al latino riguardano anche l’importazione a Roma, e nella lingua latina, di una storia che è greca in origine; mentre il viaggio da un passato di gloria letteraria a un presente più ‘quotidiano’ e normale si accorda bene con l’idea di romanzo, un genere nuovo con radici profonde nel passato epico (e non solo) ma le cui avventure sono ambientate in un contesto che non ha nulla di mitologico – oggi diremmo, con un inevitabile anacronismo, “borghese”.

Importazione, adattamento da un passato letterario greco. Questo è in fondo il modo di produzione di gran parte della letteratura latina, specialmente in versi. I poeti augustei ne erano coscienti ed orgogliosi, e spesso si vantano di aver introdotto generi greci a Roma. E così vediamo Virgilio esaltare i propri “versi Siracusani” (Ecl. 6,1-2 Prima Syracosio dignata est ludere versu / nostra neque erubuit silvas habitare Thalea)e il proprio “canto di Ascra” (Georg. 2.175 Ascraeumque cano Romana per oppida carmen); Orazio il “canto Eolico” (Carm. 3.30.13-14 princeps Aeolium carmen ad Italos / deduxisse modos) e i “giambi di Paro” (Parios ego primus iambos / ostendi Latio); Properzio le “danze Greche” (primus ego ingredior puro de fonte sacerdos / Itala per Graios orgia ferre choros). Dietro queste espressioni si celano naturalmente riferimenti dotti a autori greci – Teocrito, Esiodo, Alceo, Archiloco, Callimaco.

Miniatura dal fol. 6 recto del Virgilio romano (cod. del V secolo)
Miniatura dal fol. 6 recto del Virgilio romano (cod. del V secolo)

Rispetto a questi poeti, Apuleio non poteva vantare alcun primato nell’importazione di un genere greco – sia lui che i suoi lettori sapevano certamente, ad esempio, che già Petronio aveva scritto un romanzo prima di lui. Quindi non c’è nel suo prologo alcun primus ego, ma proprio all’inizio del prologo troviamo le parole sermo Milesius: la struttura “aggettivo di luogo + nome che indica un qualche tipo di produzione letteraria” ormai canonizzata dagli augustei. In confronto ai versi, canti, giambi e danze degli augustei, il sermo di Apuleio suggerisce la prosa invece della poesia, un discorso letterario “basso” e non “alto” – “pedestre”, direbbe l’Orazio delle Satire;ma si tratta pur sempre di un discorso caratterizzato, e in fondo anche nobilitato da origini greche, localizzate a Mileto invece che a Siracusa, Ascra, l’Eolia o Paro.

Mileto era la patria di un per noi misterioso Aristide e dava il titolo alle sue Storie Milesie, probabilmente una raccolta di storie di ambientazione borghese tenute insieme da un qualche filo conduttore, un po’ come il Decamerone di Boccaccio. Un “dialogo Milesio”, dunque: un modo dotto ed efficace per indicare qualcosa che nell’antichità non aveva un nome preciso, quello che oggi chiamiamo “romanzo”. Un qualcosa che, come per tutti i generi letterari dell’antichità, veniva dalla Grecia e affondava le radici in un passato letterario più o meno nobile.

Il percorso dal viaggio epico al viaggio romanzesco è lungo e variegato, e il traguardo è forse meno chiaro e definibile di quanto ci potremmo aspettare. Gerard Genette diceva che Omero stesso, nel passaggio dall’Iliade all’Odissea, aveva coperto metà della distanza che separa l’epica dal romanzo: una comparsa diventa protagonista, l’argomento cambia (da imprese di guerra a viaggi di avventura), il racconto si focalizza quasi esclusivamente sul personaggio principale. Come si copre allora l’altra metà della distanza?

5. Dimenticare il ritorno

Confesso di non avere ricette semplici e brillanti come Genette. Tuttavia, mi pare che l’enfasi sul fallimento (temporaneo, come ho detto) sia un fattore importante. Spesso non è tanto il fallimento in sé ad essere “poco eroico” – anche agli eroi omerici capita di fallire; poco eroiche sono invece le ragioni del fallimento. Lucio, nel romanzo di Apuleio, non lotta eroicamente ma con scarsa fortuna contro gli ostacoli che gli si parano davanti: semplicemente questi ostacoli non li vede, o non prova nemmeno a superarli. Talvolta si ‘dimentica’ perfino di quello che dovrebbe essere il fine principale di ogni bravo emulo di Odisseo: il ritorno a casa (Omero, Od. 1.5 «lottando per la sua vita e per il ritorno dei suoi, ἀρνύμενος… νόστον»). Lucio, nel suo viaggio, perde la direzionalità che, per quanto difficile e intermittente, caratterizza quello di Odisseo. Va in Tessaglia “per affari” (Met. 1.2.1 «mi dirigevo in Tessaglia per affari, ex negotio»), ma di questi affari non c’è più traccia nel romanzo: il vero obiettivo del suo viaggio diventa subito soddisfare la sua insaziabile curiosità per il soprannaturale. Quando si sente ormai prossimo a raggiungere il proprio obiettivo grazie all’aiuto della bella Fotide, lo dice chiaramente:

Heva Coomans - Penelope (1900)
Heva Coomans – Penelope (1900)

Met. 3.19.6 “a questo punto non mi importa più nemmeno di tornare a casa dalla mia famiglia (nec domuitionem paro)”

Ora, il termine domuitio è raro, arcaico e poetico; quasi sempre usato nella tradizione letteraria, da Pacuvio a Ditti Cretese, per riferirsi ai ritorni, nostoi, degli eroi omerici. E l’espressione domuitionem parare già di per sé è un equivalente abbastanza diretto, quasi una traduzione dal prologo dell’Odissea (Od. 1,5), dove “lottare per il ritorno” figura tra le caratteristiche essenziali di Ulisse elencate nel breve prologo del poema.

Insomma, è chiaro: Lucio è qui un Odisseo che ha “dimenticato il ritorno” tra le braccia di una bella donna, Fotide, che come Calipso lo tiene asservito a sé con le sue malie. Un forte contrasto, se guardiamo all’eroe ‘nostalgico’ del poema omerico: nell’isola di Calipso “Odisseo, nel desiderio di scorgere sia pur solo il fumo che balza dalla sua terra, vuole morire” (Od. 1.57 ss.); e a 5.81-84

Il generoso Odisseo… sul promontorio piangeva, seduto, là dove sempre, con lacrime, gemiti e pene straziandosi il cuore, e al mare mai stanco guardava, lasciando scorrere lacrime

J.W. Waterhouse - Jealous Circe (1892)
J.W. Waterhouse
Jealous Circe (1892)

Ma nemmeno qui si può dire che Lucio sia proprio un “rovesciamento” di Odisseo. Certo, l’eroe omerico pianse per ben sette anni nell’isola di Calipso, perché voleva e non poteva andare a casa. Ma la notte prima di partire si concede senza rimorsi un’ultima notte d’amore con Calipso (Od. 5.225-227); poi si ferma da Circe, altrettanto bella e potente, per un anno intero a “godere di carni infinite e buon vino” (Od. 10.468) apparentemente senza troppi rimpianti e pensieri: tanto che sono i compagni a doverlo spronare (Od. 10.472 «Sciagurato, alla fine ricordati della terra paterna»). Sesso, buon cibo e buon vino sono evidentemente una tentazione irresistibile sia per Odisseo che per Lucio.

Questo “dimenticare il ritorno” non è solo un rischio momentaneo nell’Odissea, ma ricorre in più occasioni. Ad esempio, il primo effetto della pozione che Circe fa bere ai compagni di Ulisse non è quello di trasformarli in porci, ma quello di fargli “scordare del tutto la terra paterna” (10.233); la trasformazione animale sembra quasi essere la conseguenza naturale e immediata di quella dimenticanza. Prima ancora, “dimenticare il ritorno” è l’effetto del loto, nella terra dei Lotofagi (9.96-97).

Questa sorta di formularità ad ampio spettro è valorizzata anche da Apuleio. Ben prima di Lucio, “perdono il ritorno” vari personaggi secondari: Socrate, “pianto per morto” a casa sua (Met. 1.6.2) come Odisseo, e poi morto per davvero; Aristomene a 1.19.12; e Telifrone a 2.30.9.

Circe, con Hermes che offre il moly ad Odisseo. Affresco, A. Allori (1580)
Circe, con Hermes che offre il moly ad Odisseo Affresco, A. Allori (1580)

Perdere il ritorno, quindi, è un rischio molto concreto anche per il protagonista e per i personaggi secondari del romanzo, che in questo non sono molto diversi da Ulisse e dai suoi compagni. Se una differenza c’è, questa sta nel fatto che Odisseo è sempre tratto d’impaccio dall’intervento di fattori esterni – ad esempio il dio Hermes che gli offre un antidoto contro i veleni di Circe. Lucio non gode di questa protezione, e per lui l’esperienza del fallimento è molto più pesante, seppure temporanea: per un anno intero, Lucio non sfugge ad una metamorfosi animale tanto degradante quanto quella subita dai compagni di Odisseo. Una metamorfosi che Odisseo stesso avrebbe potuto subire, se non fosse stato… astuto come Odisseo, o protetto da Hermes; lo sapeva bene Orazio, che scrive in Epistulae 1.2.23-26

Conosci bene i canti delle Sirene e le pozioni di Circe: se assieme ai suoi, avido e stolto (stultus cupidusque), Odisseo ne avesse bevuto, si sarebbe ridotto in potere di una meretrice, deforme e senza intelletto; sarebbe vissuto come un cane immondo, o un maiale che si rotola nel fango

6. Epilogo. Dall’epica al romanzo

La trasformazione di Lucio - Affresco, V. Tamagni (16° sec.)
La trasformazione di Lucio
Affresco, V. Tamagni (16° sec.)

Oppure, potremmo dire dopo aver letto il romanzo di Apuleio, sarebbe vissuto come un asino. Ecco, forse l’altra metà del percorso che conduce dall’epica al romanzo sta proprio nel privare il protagonista di ogni aiuto divino, nel renderlo “stolto” e ancora più esposto al fallimento. Nel renderlo, in fondo, più umano.

Per saperne di più

  • Luca Graverini, Wytse Keulen, Alessandro Barchiesi, Il romanzo antico. Forme, testi, problemi, Roma: Carocci ed. 2006.
  • Apuleio, Metamorfosi I-III. Introduzione, traduzione e commento di Luca Graverini; testo critico di Lara Nicolini. Milano: Valla-Mondadori (“Scrittori greci e latini”), 2019.
  • Luca Graverini, Le Metamorfosi di Apuleio. Letteratura e identità, Pisa: Pacini ed. 2007.
  • Luca Graverini, From the Epic to the Novelistic Hero: Some Patterns of a Metamorphosis, in E.P. Cueva, S.N. Byrne (eds.), A Companion to the Ancient Novel, Malden (MA) – Oxford (UK): Wiley-Blackwell 2014, 288-299.