3.3 Infiniti e frasi infinitive

3.3 Infiniti e frasi infinitive

Come il participio, anche l’infinito latino ha tre tempi: presente, perfetto e futuro. Anche per l’infinito si tratta di tempi relativi, non assoluti: essi indicano contemporaneità (presente), anteriorità (perfetto) e posteriorità (futuro) rispetto al tempo della reggente.

Morfologia

L’infinito presente, come si è già visto in precedenza, si costruisce unendo la terminazione -re al tema del presente; la vocale tematica che precede la terminazione varia a seconda della coniugazione. L’infinito perfetto si forma, per tutte e quattro le coniugazioni, aggiungendo la terminazione -isse al tema del perfetto. L’infinito futuro è una forma perifrastica (cioè composta), e si ottiene unendo esse (l’inf. presente del verbo sum) all’acc. del participio futuro. Ecco lo schema:

Infinito presente

laudo, as, avi, atum, aremoneo, es, ui, ĭtum, ērelego, is, lēgi, lectum, ĕreaudio, is, ivi, itum, iresum, es, fui, esse
lauda-remonē-relegĕ-reaudi-reesse

Infinito perfetto

laudo, as, avi, atum, aremoneo, es, ui, ĭtum, ērelego, is, lēgi, lectum, ĕreaudio, is, ivi, itum, iresum, es, fui, esse
laudav-issemonu-isselegisseaudiv-issefu-isse

Nota: si trovano talvolta forme sincopate, che perdono la sillaba -vi-: ad es. laudasse e audisse per laudavisse e audivisse.

Infinito futuro

laudo, as, avi, atum, aremoneo, es, ui, ĭtum, ērelego, is, lēgi, lectum, ĕreaudio, is, ivi, itum, iresum, es, fui, esse
laudaturum, am, um essemoniturum, am, um esselecturum, am, um esseauditurum, am, um essefuturum, am, um esse (o fore)

Nota: l’ausiliare esse è spesso sottinteso.

Infinito sostantivato

L’infinito presente e perfetto può essere usato come un nome, può cioè essere sostantivato come accade per gli aggettivi. I questo caso, può fungere da soggetto o da compl. oggetto di un altro verbo o di un’altra frase:

  • pulchrum est bene facere: “è cosa bella agire bene” (facere è inf. sostantivato, e soggetto dell’espressione pulchrum est)
  • tecum vivere amo: “amo vivere con te” (vivere qui è compl. oggetto di amo)
  • nobis etiam non assecutis, hoc voluisse pulchrum est: “anche se non ci siamo riusciti, è bello aver voluto questo” (voluisse è soggetto di pulchrum est)

Accusativo con l’infinito

L’infinito serve anche a formare un costrutto estremamente frequente in latino, detto appunto “accusativo con l’infinito”. Esso in sostanza equivale a quelle che in italiano chiamiamo frasi soggettive e oggettive: frasi cioè che fungono da soggetto o compl. oggetto di altre frasi. Ad esempio:

  1. “dico che sei venuto
  2. “dici di essere suo nemico
  3. “è utile che vi siano molti accusatori
  4. “è utile essere arrivati

Dei quattro esempi citati, i nn. 1 e 2 contengono frasi oggettive, i nn. 3 e 4 frasi soggettive. Come si vede, sia le oggettive che le soggettive possono essere espresse in modo esplicito (“che sei”, “che vi siano”) o implicito, con l’infinito eventualmente preceduto da “di”.

Nel costruire questo tipo di frasi, il latino non fa differenza tra soggettive e oggettive, né tra esplicite e implicite. Usa sempre una costruzione in cui il verbo è all’infinito e il soggetto in accusativo, senza farla precedere da congiunzioni come le italiane “che” o “di”; il soggetto di regola è espresso, anche quando in italiano lo si lascerebbe sottinteso. Le frasi di cui sopra quindi diventano

  1. “dico che sei venuto”: dico te venisse
  2. “dici di essere suo nemico”: dicis te eius inimicum esse
  3. “è utile che vi siano molti accusatori”: accusatores multos esse utile est
  4. “è utile essere arrivati”: utile est nos venisse

La traduzione dal latino all’italiano è tutto sommato facile e abbastanza meccanica. Il costrutto è di solito ‘annunciato’ dalla presenza di verbi che indicano azioni come dire, sentire, percepire, giudicare, permettere, impedire, e così via; o anche da frasi impersonali come bonum est, facile est, eccetera. Una volta riconosciuto il costrutto, la prima cosa da fare è introdurlo con la congiunzione “che”; si traduce il soggetto in accusativo; si fa poi seguire il verbo rispettando il rapporto di contemporaneità, anteriorità o posteriorità con il verbo reggente. In un secondo tempo, si valuterà la possibilità o necessità di usare una traduzione implicita, con “di” seguito dall’infinito, se il soggetto delle due frasi reggente e subordinata è identico (come nella frase n. 2).

L’infinito, naturalmente, può a sua volta reggere altri complementi, tra cui un complemento oggetto; in questi casi è necessario – aiutandosi con il contesto – stare attenti a distinguere l’accusativo che è soggetto dell’infinito, e quello che è il suo compl. oggetto. Ad es.: dico te Terentiam amare può valere “dico che tu ami Terenzia” o “dico che Terenzia ti ama”: solo il contesto può aiutare nella scelta. In altri casi ovviamente non c’è molta ambiguità: dico te pugnam desiderare non potrà certo tradursi con “dico che la battaglia ti desidera”.

La cosa a cui fare attenzione è il tempo che si usa per tradurre il verbo della frase in accusativo e infinito. Come si è detto, l’infinito non ha tempi assoluti, ma relativi, che indicano una relazione di contemporaneità (presente), anteriorità (perfetto) o posteriorità (futuro) rispetto alla reggente. La reggente, a sua volta, può avere un tempo principale o un tempo storico.

Parentesi: tempi principali e tempi storici

Tempi principali sono essenzialmente il presente e il futuro semplice. Il latino tuttavia, in rari casi, usa anche il perfetto in funzione di presente (perfetto gnomico): questo accade soprattutto con massime e proverbi di valore universale (in greco si chiamano gnomai, da cui la definizione di “perfetto gnomico”); ad es.

  • Multi vitam sicuti peregrinantes transierunt, “molti trascorrono la vita come pellegrini”

Tempi storici sono tutti i tempi passati e/o derivati dal tema del perfetto (imperfetto, perfetto, piuccheperfetto, futuro secondo). A questi però va aggiunto anche il presente storico, cioè il presente usato in funzione di passato. Esso viene usato soprattutto nella narrativa e nella storiografia: per rendere più vivido un racconto di eventi passati lo si narra al presente. Nel tradurlo in italiano, si può scegliere se lasciare il presente (che anche in italiano si può usare in questo modo) o lasciare il passato: ad es.

  • Caesar legatos mittit: “Cesare manda / mandò degli ambasciatori”

Relatività del tempo nell’accusativo con l’infinito

Non c’è dunque un tempo preciso e costante da adottare per tradurre gli infiniti latini presente, perfetto e futuro; occorre piuttosto prestare attenzione alla relazione temporale con la reggente. Ecco uno schema:

Dipendenza da tempi principali

LatinoRelazione temporaleItaliano
dico te errarecontemporaneità
(inf. presente)
dico che sbagli
dico te erravisseanteriorità
(inf. perfetto)
dico che hai sbagliato
dico te erraturum esseposteriorità
(inf. futuro)
dico che sbaglierai

Se il soggetto della subordinata è lo stesso della principale si può valutare la traduzione implicita (con l’infinito): quindi dico me errare si può tradurre “dico di sbagliarmi” e dico me errauisse si può tradurre “dico di essermi sbagliato / avere sbagliato“. Per l’infinito futuro non esiste traduzione implicita, quindi dico me erraturum esse si traduce “dico che mi sbaglierò“.

Dipendenza da tempi storici

LatinoRelazione temporaleItaliano
dicebam/dixi te errarecontemporaneità
(inf. presente)
dicevo/ho detto/dissi
che sbagliavi
dicebam/dixi te erravisseanteriorità
(inf. perfetto)
dicevo/ho detto/dissi
che avevi sbagliato
dicebam/dixi te erraturum esseposteriorità
(inf. futuro)
dicevo/ho detto/dissi
che avresti sbagliato

Se il soggetto della subordinata è lo stesso della principale si può valutare la traduzione implicita (con l’infinito): quindi dicebam me errare si può tradurre “dico di sbagliarmi” e dicebam me errauisse si può tradurre “dicevo di essermi sbagliato / avere sbagliato“. Per l’infinito futuro non esiste traduzione implicita, quindi dicebam me erraturum esse si traduce “dicevo che mi sarei sbagliato / avrei sbagliato“.